Trasformazioni – Trieste

Il 2 gennaio scorso, sono riuscita, un po’ improvvisando, ad andare di persona a vedere la mostra “TRASFORMAZIONI. Trieste 1860-2024. Luoghi e persone nella fotografia artistica” che vede inserite due mie immagini del Carso all’interno di una collettiva che – a me- toglie davvero il fiato. Non esagero a dirlo, perché io stessa pur sapendo quale sarebbe stata la sequenza di immagini esposte non avevo capito l’impatto che avrebbe avuto su di me andare li, essere li.

Ma iniziamo da principio, Trasformazioni è un percorso che dura da anni, e la parte più corposa è il libro-catalogo, la ricerca a monte di cui la mostra è un concentrato, curati entrambi da Claudio Domini, Claudio Ernè e Alvise Rampini, e grazie all’IRPAC che fa un lavoro eccezionale promuovendo questo tipo di progetti che mettono in sinergia Archivi storici, fondi e collezioni private, autori. 288 pagine, oltre 200 fotografie, testi d’inquadramento storico e apparati biografici degli autori compresi nella selezione.

Il percorso si snoda secondo 5 direttrici: Linee d’acqua, Dentro la città, Lavoro, Persone, Carso. Affronta attraverso immagini significative, le trasformazioni messe in atto nei luoghi e nelle persone, le mutazioni anche impercettibili o apparentemente sfuggite che grazie al mezzo fotografico trovano il supporto perfetto per manifestarsi davanti ai nostri occhi, sulle stampe appese (e illuminate meravigliosamente! Diciamolo che pare impossibile perfino nei musei più blasonati spesso – grazie! allo staff del Museo Friulano della Fotografia).
Dallo spazio della Chiesa di San Francesco, si esce con una riflessione sulla Trieste che cambia, senza scadere mai nella nostalgia (rischio che era altissimo trattandosi di un afflato tipico della città stessa), anche se l’effetto è notevolmente amplificato se questa città la conosci in prima persona.

Fin qui, la mia emozione è quella della visitatrice, carsolina, curiosa, amante della fotografia e delle mostre ben fatte.
Ma da qui in poi c’è invece la mia storia personale, una specie di pugno nello stomaco arrivato in differita a fine mostra. 


Partiamo da casa. Sono nel soggiorno di casa a Santa Croce, ospite toccata e fuga assieme a Simone, Cami e Lea. Sono seduta a fare colazione allo stesso tavolo tondo rosso che è sempre stato il centro della vita in casa da quando gattonavo. Quello è il mio Carso. La mia terra, la sua asperezza, il suo rapporto contraddittorio con l’identità, con i confini, con gli elementi. Quello è il tema della primissima mostra che molti anni fa mi ha spinto in un mondo in cui sono gli altri a decidere se ci stai o no, le esposizioni. Non mi ci sono mai abituata. Oggi a Udine, c’è Trasformazioni e io sono nella sezione “Carso”.
Sto bevendo il caffè, e valutando se riusciamo a passare da Udine per la mostra, ci tengo, anche se non vorrei mettere tutti in difficoltà per portarmi fino a li, ma non lo dico. Mia mamma beve il caffè e più o meno dice: “Sai ne hanno parlato molto in paese della mostra, perché è esposto un fotografo di Santa Croce …” Lo dice con naturalezza traguardandomi, e a me viene da ridere.
Notate: quel fotografo non sono io, è un altro fotografo. Ed è più di Santa Croce di me, che non sono mai di nessun luogo. E i miei compaesani sono fieri perché in quella mostra c’è un altro grande fotografo che aveva scelto il paese per vivere, Mario Magajna. Io ci sono, ma non ci sono. Per me è così, normale, da sempre, non sono mai stata “di nessun luogo” nemmeno se ci sono nata, ci ho fatto l’asilo e le elementari, in paese mi conoscono più o meno tutti i coetanei… ma non ci sono. Comunque rido. Ci sono 3 fotografi di Santa Croce in una mostra su Trieste. Andiamo.

A questo punto, per continuare a scrivere devo mettermi davanti la sequenza di immagini esposta per poter cercare di spiegarvi di più.
La sezione Carso inizia con alcune foto storiche e tra le prime foto si apre una piazza di Santa Croce negli anni ’40 di Adriano Cadel. La mia famiglia non viveva ancora li. 

Segue la foto di due bambini in un campo profughi, dietro a un filo spinato. Mia madre è nata negli anni ’60 in un campo profughi sul Carso. 

Alcune immagini di vita carsica, e le cave di Aurisina. Mio nonno ha fatto lo scalpellino prima di fare il muratore.

La foto successiva è una serie del 2013 di Andrej Furlan “le vie dei destini” realizzata con foro stenopeico sulle strade che dal porticciolo di Santa Croce, passando attraverso le vigne, portano fino alle strette vie del paese. Le vie che io percorrevo all’infinito, a piedi e sfrecciando in bicicletta, invitando gli amici di “fuori” a perdersi in quelle strade labirintiche che io conoscevo a menadito.

E poi ci sono io, le pietraie del Carso interno e la landa con i segni visibili di un tronco di pino bruciato dal fuoco, ma ancora in piedi. lo sottolineo perché nella mia prima mostra i tronchi bruciati della pineta di Santa Croce erano grandi corpi abbattuti dal vento.

Non posso accompagnarvi nella mostra coi miei occhi, e i miei occhi trasfigurano le fotografie esposte in tanto altro. C’è Franco Basaglia, e c’è un ritratto di Ugo Guarino – LA VERITÀ È RIVOLUZIONARARIA! Ci sono le rive coperte di neve, il caffè San Marco avvolto nel fumo, le androne di città vecchia dove è nata mia nonna paterna, il porto e i cantieri dove lavorava l’altro nonno, ma -se prendete il catalogo- ci sono i Topolini, Melara, i bastimenti, i moli, ma Borgo degli anni ’70, quando mio papà ci cresceva. Insomma grazie. 


Grazie a chi ha realizzato questa mostra, a chi mi ha scelta. A chi mi ha messa li, in questa collettiva mozza fiato.
Mancano davvero pochi giorni per poter andare a vederla, non posso che dirvi andate! E se potete prendete il catalogo perché non sarà nella grande distribuzione ma è una chicca, che non ripete pedantemente la mostra, ma è un’opera di ancora più grande respiro e completezza.

Per le immagini della mostra, ringrazio SinverAge / Massimiliano Muner

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